La filiera della canapa industriale alla luce della sentenza delle SS.UU.
Riteniamo opportuno fare un pò di chiarezza sulla filiera della canapa industriale alla luce del deposito delle motivazioni della sentenza n. 30475/2019 delle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione, soprattutto a seguito del clamore mediatico e politico che ha generato, e che in molti casi ha passato un messaggio distorto e non afferente alla realtà.
La sentenza della Corte di Cassazione ha infatti delineato i confini della liceità in materia di cannabis definendo in maniera netta il rapporto di regola/eccezione tra Legge n. 242/2016 e DPR 309/1990.
In particolare la Suprema Corte ha ritenuto che la cannabis, senza distinzioni, sia generalmente sottoposta al divieto di produzione e commercializzazione sancito e sanzionato dagli artt. 14 e 73 T.U. Stupefacenti, fatta eccezione per:
- la produzione di fibre o altri usi industriali in conformità alla normativa Comunitaria (che per inciso non prevede alcuna limitazione a parti della pianta);
- le destinazioni tassative di cui all’art. 2 della L. n. 242/2016.
Pertanto la canapa industriale può essere coltivata, trasformata, trasportata e commercializzata nell’ambito delle eccezioni di cui sopra.
Va da sé che i riferimenti alla normativa Comunitaria (seppure – stranamente – non colti e non menzionati nel testo della sentenza) valgono a qualificare la pianta di canapa – nella sua interezza – quale “prodotto agricolo” e quale “pianta industriale”.
Ne consegue che è da considerarsi pienamente lecita la produzione di canapa nelle sue varie forme (fibra e canapulo, fiori, foglie e semi), nonché la trasformazione per ottenere i prodotti elencati dall’art. 2 della Legge 242/2016, nel rispetto delle normative dei relativi settori (alimenti, cosmetici, semilavorati, florovivaismo ecc).
Tale prospettazione è corroborata anche dai chiarimenti recentemente forniti dal MIPAAFT (Ministero Politiche Agricole) che ha (e non poteva essere diversamente) ribadito la liceità della “produzione di parti di piante, quali foglie, fronde, infiorescenze e talee ornamentali secondo le norme in materia di sementi, di materiali di moltiplicazione delle piante ornamentali e fitosanitarie” purchè si tratti di prodotti finali non destinati ad ulteriori attività florovivaistiche.
Le questioni relative alla così detta “cannabis light” esulano – secondo la Cassazione – dalla previsione di cui alla Legge n. 242/2016 e le relative condotte dovranno essere valutate dal Giudice caso per caso in attesa di un intervento del legislatore.
Ad ogni modo riteniamo di affermare con la massima fermezza e convinzione la piena liceità della filiera dalla canapa industriale che, in base alla normativa vigente (comunitaria e nazionale), incentiva e tutela la filiera produttiva di una pianta industriale per le finalità agro-industriali di cui all’art. 2 della Legge 242/2016.
Riteniamo comunque opportuno stimolare un sereno confronto con il MIPAAFT al fine di fugare ogni dubbio ed equivoco circa l’ambito della legge vigente in modo che pregiudizi infondati non finiscano per danneggiare le realtà produttive che hanno investito nella filiera.
In questo senso la sentenza della Corte di Cassazione non ha (e non avrebbe potuto) posto alcuna limitazione, ma anzi ha contribuito a distinguere l’ambito della filiera produttiva della canapa industriale da diverse applicazioni e destinazioni della canapa, la cui legittimità ed i cui contorni non possono essere delineati nell’ambito di una legge agricola, ma dovranno essere risolti nelle sedi competenti dei Tribunali o, auspicabilmente, della politica.