Pubblichiamo la lettera di risposta al recente articolo pubblicato su Terra e Vita “La canapa tiene in ostaggio tutte le officinali“, in merito al ritiro da parte del Ministro dell’agricoltura, Patuanelli, dello schema di Decreto sulle specie officinali e i loro criteri di coltivazione.
Gent. Direttore,
esprimiamo il nostro disappunto per lo stravolgimento dei fatti perpetrato, sin nel titolo, dal vostro articolo “La canapa tiene in ostaggio tutte le officinali”.
Col varo dell’elenco delle specie officinali, atteso a lungo da tutti, canapicoltori compresi, il settore non sperava in alcuna “scorciatoia”. Sperava piuttosto che alla canapa industriale, a bassissimo THC (sotto lo 0,2% per capirsi), venisse finalmente riconosciuto lo statuto di pianta officinale e quindi la possibilità di utilizzare le parti che contengono le principali proprietà officinali della pianta, sempre ovviamente nel rispetto dei limiti di legge del Thc nei diversi settori di impiego (aromi, cosmetici, semilavorati per altre industrie). Altrimenti che senso ha mettere la canapa in questo elenco? Per fare le tisane con la fibra?
Ma il problema vero era che quello schema di decreto inviato alla Conferenza Stato-Regioni, e ritirato fortunatamente dal Ministro Patuanelli, non solo contrastava gli interessi economici dei coltivatori di canapa, ma era insostenibile anche sul piano del diritto comunitario e avrebbe portato dritto dritto l’Italia a un’infrazione analoga a quella incorsa il novembre scorso alla Francia. Per chi non lo sapesse infatti, la Corte di Giustizia europea ha obbligato il Governo francese al dissequestro di una partita di sigarette elettroniche al CBD, dichiarando che la pianta di canapa nella sua interezza (fiori e foglie comprese) e il CBD estratto dalla pianta non sono sostanze stupefacenti e che quindi, come tali, sono legittimamene impiegabili per una pluralità di preparazioni industriali.
Quando ci si richiama nel vostro articolo alla “gerarchia delle fonti”, meglio sarebbe parlarne con cognizione di causa. Non a caso la Francia, dopo quella sentenza, è corsa ai ripari e ha annunciato recentemente di ritenere lecito l’impiego dell’intera pianta di canapa (fiori e foglie comprese) per l’ottenimento di preparazioni industriali. I Ministeri italiani invece in materia di canapa si ostinano a ignorare la posizione del diritto europeo e a voler limitare la filiera alla produzione solo di semi e fibre, concezione oramai del tutto anacronistica e che ci espone al paradosso di vedere sui nostri mercati la libera circolazione di estratti e preparati prodotti in altri Stati europei, ma non producibili in Italia. Basti pensare che l’Italia insiste nel considerare stupefacenti le foglie di canapa che al contrario non sono tali per la normativa comunitaria e neppure per la Single Convention on Narcotic Drugs del 1961 (per rimanere in tema di “gerarchia delle fonti”).
Non vogliamo scorciatoie legislative, chiediamo soltanto che l’Italia si adegui alla linea europea in materia di canapa, evitando continue restrizioni al mercato comune. Il Ministero dovrebbe preoccuparsi di dare attuazione, attraverso il tavolo di filiera che ha istituito, alla risoluzione unitaria della XIII Commissione Agricoltura della Camera dei Deputati del novembre 2019 piuttosto che tessere ogni volta interpretazioni restrittive e prive di fondamento giuridico.