Siamo profondamente preoccupati per l’approvazione del nuovo “DL Stralcio”, che contiene misure drastiche contro le infiorescenze della canapa industriale.
Il nostro avvocato, Giacomo Bulleri, assieme all’avvocato Carlo Alberto Zaina hanno analizzato il testo ,e dichiarato:
L’art. 18 del DDL 1236 è stato concepito dal governo con il chiaro ed unico intento di bloccare la produzione e la commercializzazione di infiorescenze di canapa (e derivati della stessa) a prescindere dall’effettivo livello di THC contenuto.
L’incipit di tale norma riposa nel “…fine di evitare che l’assunzione di prodotti costituiti da infiorescenze di canapa o contenenti tali infiorescenze possa favorire, attraverso alterazioni dello stato psicofisico del soggetto assuntore, comportamenti che espongano a rischio la sicurezza o l’incolumità pubblica, ovvero la sicurezza stradale…”.
Le ragioni dell’intervento suscitano forti dubbi di costituzionalità, oltre che di compatibilità con la normativa eurounitaria.
Pare, infatti, di potere dire che la premessa dell’intervento normativo possa essere sospettata di violare il principio di determinatezza della fattispecie di reato, che pur non essendo espressamente menzionato in Costituzione, pare – a detta della migliore dottrina – un corollario, un completamento logico e dunque un «aspetto fondamentale» del principio della riserva di legge posto dall’art. 25, comma 2 Cost. anche se alcuni commentatori hanno operato altresì una correlazione con l’art. 1 cod. pen. interpretato quale norma costituzionale in senso materiale – .
In primo luogo, l’individuazione tout court delle infiorescenze appare generica ed irragionevole, per le stesse medesime ragioni addotte in relazione ai dubbi di costituzionalità sollevati per l’art. 187 CdS.
La illiceità eventuale delle infiorescenze, intese come sostanze idonee a contenere principi attivi droganti, dipende dall’effettivo livello di presenza dell’unico principio attivo psicoattivo – il THC tetraidrocannabinolo -.
La letteratura scientifica ha fissato (e la giurisprudenza ha accolto tale indicazione) nella misura dello 0,5% la soglia al di sotto della quale non è sicuramente ravvisabile alcuna idoneità stupefacenti di infiorescenze, resine, foglie ed olii.
I residui limiti – sanciti dall’art. 4 L. 242/2016 – non solo attengono solamente alla attività coltivativa, ma, soprattutto, disciplinano altri e distinti parametri (i quali, peraltro, si possono armonizzare con quello indicato).
Limitare ogni valutazione di potenziale illiceità delle infiorescenze ad affermazioni ideologiche ed astratte, che non tengono conto dell’effettiva offensività e dannosità del prodotto e, al contempo, della presenza di cannabinoidi, quali il CBD, il CBG, il CBN, che, privi di psicoattività, possono liberamente circolare nei paesi europei ai sensi degli artt. 34 e 36 TFUE (V. Sent. 19.11.2020 Corte Giustizia Europea), costituisce, pertanto, un ulteriore difetto strutturale dell’impianto normativo.
Se, quindi, esiste un potenziale vizio genetico del provvedimento che investe i presupposti dello stesso, esso si estende anche agli interventi specifici.
Senza indulgere in lunghi approfondimenti, si sottolinea il carattere di superficialità e di mero formalismo che molti correttivi presentano.
L’aggiunta al co. 1 dell’art. 1 della parola “industriale” è semplicemente superflua.
La sostituzione della precedente locuzione (”..la coltura della canapa finalizzata…”), al co. 3, con la frase “…in via esclusiva la coltura della canapa comprovatamente finalizzata ..”, pare solo un intervento di mera suggestione con l’uso di avverbi puramente rafforzativi, ma che nella sostanza poco esprimono.
Meritano, invece, una maggiore attenzione i due co. 3 bis, aggiunti sia all’art. 1, che all’art. 2.
Nel primo si esclude l’applicazione della L. 242/2016 “…all’importazione, alla lavorazione, alla detenzione, alla cessione, alla distribuzione, al commercio, al trasporto, all’invio, alla spedizione, alla consegna, alla vendita al pubblico e al consumo di prodotti costituiti da infiorescenze di canapa, anche in forma semilavorata, essiccata o triturata, o contenenti tali infiorescenze, compresi gli estratti, le resine e gli oli da esse derivati…”.
Il divieto – che comporterebbe automaticamente la applicabilità a tali condotte del Dpr 309/90 – replica le perplessità già manifestate, in quanto – attesa la natura delle infiorescenze e dei derivati da esse, nonché i profili tossicologici evidenziati in relazione al principio dell’offensività – esso pecca di indeterminatezza, perché non individua gli specifici profili di illiceità che giustificherebbero l’intervento.
Allo stesso modo ci si può pronunziare in relazione al co. 3 bis dell’art. 2 “…Sono vietati l’importazione, la cessione, la lavorazione, la distribuzione, il commercio, il trasporto, l’invio, la spedizione e la consegna delle infiorescenze della canapa coltivata ai sensi del comma 1 del presente articolo, anche in forma semilavorata, essiccata o triturata, nonché di prodotti contenenti o costituiti da tali infiorescenze, compresi gli estratti, le resine e gli oli da esse derivati. Si applicano le disposizioni sanzionatorie previste dal titolo VIII del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309. È consentita solo la lavorazione delle infiorescenze per la produzione agricola dei semi di cui alla lettera g-bis) del comma 2…”.
E’, quindi, evidente che la questione debba venire trasferita all’attenzione della Consulta, una volta che il DDL 1236 avrà piena applicazione, dopo la pubblicazione in G.U. e, soprattutto, dopo la possibile conversione in legge.
Nel frattempo chi intende procedere certamente lo farà a proprio rischio, al fine di provocare l’intervento della magistratura, in ordine alla verifica di costituzionalità della norma.
Sotto un diverso profilo la norma si pone in contrasto con la normativa eurounitaria in quanto viola i principi di proporzionalità della misura adottata che pare idonea a configurare una indebita restrizione quantitativa dell’organizzazione del mercato comune della canapa e del lino in violazione degli artt. 34 e 36 TFUE.
La pianta di canapa sativa L. provenienti da sementi certificate, infatti, senza distinzioni tra le parti di essa, è qualificata espressamente come prodotto agricolo dall’allegato I del TFUE e presenta una propria organizzazione del mercato comune tanto da essere destinataria del premio PAC ai sensi dei Reg. (CE) nn. 1307/13 e 1308/13-.
Sui rapporti tra normative nazionali e diritto comunitario si è già pronunciata la Corte di Giustizia dell’Unione Europea con le sentenze rese nel caso Hammerstein (2003) e nel caso Kanavape (2020) nelle quali è stato affermato il principio secondo cui una normativa nazionale volta a proibire la coltivazione o la detenzione di canapa sativa (caso Hammerstein) o a limitare la circolazione di prodotti a base di CBD ottenuti da fiori e foglie di canapa (caso Kanavape) costituiscono violazione degli artt. 34 e 36 TFUE laddove non siano fondati su comprovate evidenze scientifiche.
Tale principio è già stato recepito sia dal Consiglio di Stato francese sia dal TAR Lazio con le sentenze nn. 2313 e 2316 del 14.02.2023 con cui aveva disapplicato il Decreto Interministeriale nella parte in cui escludeva fiori e foglie di canapa dal novero delle piante officinali.
In forza di tali principi, peraltro coerenti con la disciplina internazionale della Single Convention on Narcotic Drugs del 1961 e s.m.i., non possono che far deporre per un sostanziale contrasto tra l’art. 18 del Decreto in commento e la normativa eurounitaria in quanto non fondato su alcuna esigenza scientifica ma per mere (e non provate) esigenze precauzionali legati all’ordine pubblico in evidente violazione del principio di proporzionalità della misura, il quale, nella fattispecie è oltremodo aggravato dall’entrata in vigore immediata del Decreto e dalla omessa notifica alle Autorità europee ai sensi della cd. Procedura TRIS.
Il ricorso agli organi giurisdizionali competenti appare quantomai necessario per porre rimedio ad una norma che – da un giorno all’altro – rende illecito un intero settore produttivo agro industriale senza alcun fondamento logico, scientifico e giuridico.
Il tutto aggravato da un modus legiferandi tutto italiana volto a cambiare le regole in corsa con impatti drammatici in settori produttivi, senza la previsione di un termine per adeguarsi al netto cambio normativo.
Ciò non può che integrare una ulteriore violazione dei principi costituzionali e dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, fattispecie per le quali l’Italia è già stata sanzionata in passato.
Ora l’ultima parola spetta al Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Toccherà a lui decidere se firmare questo decreto o intervenire per tutelare un settore strategico per l’agricoltura e l’economia italiana.